domenica 12 marzo 2017

Ecco perché dovete vedere Lo chiamavano Jeeg Robot

Prendete la trdizione supereroistica americana, il meglio dei manga giapponesi (dai Robot di Go Nagai a Durarara), un bel po’ di cinema di genere italiano (serie tv comprese), mescolate tutto e avrete Lo chiamavano Jeeg Robot.
Ero entrato al cinema convinto di vedere un bel filmetto divertente, uno Spaghetti Comics tutto da ridere. Ma il nuovo film di Gabriele Mainetti è tutt’altro.

La pellicola descrive una Roma in preda al caos. Nuove organizzazioni criminali, spinte dalla voglia di uscire dalle periferie, si dimostrano piu’ spietate e pericolose delle precedenti. Ma la figura di un eroe che veglia sulla citta’ restituisce a tanta gente la speranza che aveva perso.
E l’eroe può essere chiunque, anche uno come Enzo. Uno dei tanti ex giovinastri che bighellona per Tor Bella Monaca, senza né arte né parte. Nonostante sia cresciuto in un ambiente in cui ‘’mors tua vita mea’’ era l’unica ideologia dominante, Enzo ad un certo punto capisce che salvare se stessi in realtà vuol dire salvare gli altri, cosi’ come amare se stessi in realtà significa amare gli altri.

L’eroismo, nel film, nasce dall’empatia col prossimo, dalla scoperta dell’innocenza e della tenerezza, dalla condivisione della propria sofferenza e della sofferenza altrui. In poche parole lo spiritito eroico nasce dall’esperienza che i grandi saggi chiamano amore agapico (universale), dall’ ”ama il prossimo tuo come te stesso”.
L’eroe non si ritrova a combattere invasioni aliene o singoli pazzi scatenati, ma il vero male che attanaglia i nostri tempi: la solitudine, l’indifferenza, l’egoismo, il degrado umano che in prima istanza si trovano dentro di lui.

Nessun commento:

Posta un commento