Peanuts
vuol dire personcine o noccioline, ma dal 2 ottobre del 1950 tale
termine viene associato anche alla mitica striscia di fumetti creata
da Charles Monroe Schulz. Evergreen nei numerosi gadgets, che ancora
oggi si continuano a vendere in tutto il mondo, le avventure di
Snoopy e soci si sono fermate però il 13 febbraio del 2000: data di
pubblicazione dell'ultima striscia recante la lettera di addio con
cui Schulz si congedò dai suoi lettori. Nei cinquant'anni precedenti
il disegnatore americano ogni giorno dedicò alcune ore alla
creazione di quelle vignette, che vennero pubblicate su oltre 2.600
giornali in 75 paesi diversi. Non smise neanche quando la sua mano
iniziò a tremolare. D'altronde era proprio la ripetitività la forza
e la chiave di comprensione delle vicende di quella piccola comunità
di bambini, residenti in un'anonima cittadina degli States. Solo
attraverso la ridondanza della stessa azione si poteva comprendere il
carattere eroico, e nello stesso tempo inetto, del piccolo Charlie
Brown che ogni giorno usciva di casa cercando, senza mai riuscirci,
di calciare un pallone o di far volare un aquilone.
Solo attraverso
la lettura quotidiana si poteva intravedere, nello sguardo attonito
con cui il bambino osservava Peperita Patty cimentarsi nelle più
disparate imprese atletiche, il senso profondo di quelle piccole
frustrazioni che tutti noi siamo costretti a subire ogni giorno.
Sullo sfondo c'era la provincia americana, fatta di casette tutte
uguali circondate da asettiche staccionate bianche.
Era
un'immagine degli Usa nuova quella che Schulz portava nel mondo, che
stava ad indicare il passaggio dal mito della frontiera a quello del
rifugio. L'America degli anni 50, nonostante le accuse di
imperialismo, sembrava intenzionata infatti non tanto ad esportare il
proprio stile di vita, quanto a chiudersi a riccio cercando di
difendersi dalla minaccia esterna del comunismo.
Ma
non solo di America parlano i Peanuts. Le speculazioni filosofiche di
Linus, le paranoie di Lucy, l'ingenuità di Sally e le velleità
artistiche di Schroeder, descrivono un po' anche tutti noi. ''Questi bambini
ci toccano da vicino - dice il più illustre traduttore del fumetto,
Umberto Eco - perché in un certo senso sono dei mostri: sono le
mostruose riduzioni infantili di tutte le nevrosi di un moderno
cittadino della civiltà industriale''.
L'interpretazione del
semiologo però viene ribaltata dal professore di letteratura
angloamericana dell'Università di Macerata, Valerio De Angelis.
Secondo il quale ''i Peanuts stanno proprio a rappresentare
l'infantilizzazione in cui la classe media è stata relegata da una
sorta di 'pax consumista'''.
In
qualsiasi modo la si voglia mettere però quello che è sicuro è che
sia per il loro autore che per i lettori la fruizione quotidiana dei
Peanuts ha avuto certamente una valenza terapeutica. I personaggi del
fumetto, come spiega il saggista Luca Raffaelli, ''in fondo sono
dentro di noi. Rappresentano i tanti bambini interiori che albergano
nella nostra anima e che si moltiplicano con l'andare avanti
dell'età''.
Schulz
non ebbe eredi, come dettato dalle sue ultime volontà le avventure
di Snoopy finirono con lui e Charlie Brown non riuscì mai a vincere
una partita di baseball. Ma il testimone è stato repentinamente
raccolto da tanti prodotti culturali, due dei quali spiccano per le
tante somiglianze che ancora conservano con la poetica del loro padre
ispiratore.
I primi, andando in ordine cronologico, sono sicuramente
I Simpson: la serie creata dal fumettista americano Matt Groening,
verso la fine degli anni 80. Periodo nel quale la popolarità dei
Peanuts cominciava lentamente a scemare. Anche la famiglia più
celebre del fumetto made in USA vive in una cittadina della provincia
americana. La quale resta però di difficile individuazione, in
quanto ogni stato degli Usa ha una Springfield. Come Charlie Brown e
company anche I Simpson inoltre fanno parte della middle class
statunitense, ma è nelle differenze tra i due prodotti che si
riconoscono le principali somiglianze. Nella serie di Groening, al
contrario del fumetto di Schulz, per esempio appaiono gli adulti.
Questi ultimi però, e soprattutto il protagonista Homer, hanno
chiare caratteristiche infantili. Le riflessioni di De Angelis qui
divengono esplicite. I membri della classe media americana appaiono
come dei grossi bambinoni conformisti, consumisti e, a causa delle
loro spinte narcisistiche, incapaci di creare una comunità nel senso
civile del termine.
Non
ci sono dubbi invece riguardo la somiglianza che i Peanuts hanno con
un altro popolarissimo gruppo di bimbi, quello di South Park: la
serie televisiva statunitense creata da Matt Stone e Trey Parker.
Qui
gli adulti, pur non avendo caratteristiche infantili, hanno un ruolo
sicuramente secondario rispetto ai bambini.
South
Park potrebbe quasi essere visto come l'esasperazione delle tematiche
messe in atto da Schulz, che si incistiscono nel tessuto sociale
degenerando in una violenza atroce e grottesca. La cosa sorprendente
però è che lo scenario di provincia in cui si muovono Kenny e
Cartman è praticamente identico a quello che faceva da sfondo alle
avventure di Charlie Brown e Peperita Patty. South Park è nato nel
1997, a quasi mezzo secolo di distanza dalle prime vignette dei
Peanuts, eppure la provincia americana continua a rimanere identica:
staccionate bianche e campi da baseball inclusi.
Un
ultimo tratto che accomuna i tre titoli sta sicuramente nella
denuncia dell'ipocrisia insita nella borghesia americana. Ogni
episodio delle serie in questione infatti può essere visto come il
tentativo di squarciare il Velo di Maya del conformismo.
Quelle
convenzioni sociali che nascondono i veri sentimenti della
popolazione con una farsa buonista e puritana. Mentre nei Peanuts
dietro i formalismi si cela un'America ripiegata su se stessa,
composta da tante solitudini recluse dietro il televisore e oppresse
da stereotipi troppo difficili da raggiungere, in South Park oltre la
finzione troviamo invece qualcosa di molto simile all' ''Orrore''
enunciato da Kurz in Apocalypse now. I bambini si trovano ad essere
talmente disorientati dalle contraddizioni valoriali del mondo degli
adulti da rasentare la follia omicida. Più rassicuranti appaiono le
dinamiche dei Simpson, che si muovono in una direzione completamente
opposta.
All'inizio la comunità di Springfield viene criticata
aspramente. Basti vedere la famiglia protagonista della serie,
stretta tra le frustrazioni di Lisa e Marge, la stupida
cialtronaggine di Homer e i problemi comportamentali del monello
Bart. Alla fine però il nuovo continente appare più accogliente di
quanto ci si aspettasse. Pur nei loro difetti la famiglia Simpson
dimostra di saper essere calda e affettuosa, l'amore che i suoi
componenti nutrono gli uni per gli altri supera ogni avversità. Gli
States in conclusione, nonostante i tanti difetti, continuano a
essere descritti come il posto migliore del mondo (centrale nucleare
di Montgomeri Burns a parte).