giovedì 29 agosto 2013

Da Charlie a Cartman, passando per Bart


Peanuts vuol dire personcine o noccioline, ma dal 2 ottobre del 1950 tale termine viene associato anche alla mitica striscia di fumetti creata da Charles Monroe Schulz. Evergreen nei numerosi gadgets, che ancora oggi si continuano a vendere in tutto il mondo, le avventure di Snoopy e soci si sono fermate però il 13 febbraio del 2000: data di pubblicazione dell'ultima striscia recante la lettera di addio con cui Schulz si congedò dai suoi lettori. Nei cinquant'anni precedenti il disegnatore americano ogni giorno dedicò alcune ore alla creazione di quelle vignette, che vennero pubblicate su oltre 2.600 giornali in 75 paesi diversi. Non smise neanche quando la sua mano iniziò a tremolare. D'altronde era proprio la ripetitività la forza e la chiave di comprensione delle vicende di quella piccola comunità di bambini, residenti in un'anonima cittadina degli States. Solo attraverso la ridondanza della stessa azione si poteva comprendere il carattere eroico, e nello stesso tempo inetto, del piccolo Charlie Brown che ogni giorno usciva di casa cercando, senza mai riuscirci, di calciare un pallone o di far volare un aquilone.
Solo attraverso la lettura quotidiana si poteva intravedere, nello sguardo attonito con cui il bambino osservava Peperita Patty cimentarsi nelle più disparate imprese atletiche, il senso profondo di quelle piccole frustrazioni che tutti noi siamo costretti a subire ogni giorno. Sullo sfondo c'era la provincia americana, fatta di casette tutte uguali circondate da asettiche staccionate bianche. Era un'immagine degli Usa nuova quella che Schulz portava nel mondo, che stava ad indicare il passaggio dal mito della frontiera a quello del rifugio. L'America degli anni 50, nonostante le accuse di imperialismo, sembrava intenzionata infatti non tanto ad esportare il proprio stile di vita, quanto a chiudersi a riccio cercando di difendersi dalla minaccia esterna del comunismo.

Ma non solo di America parlano i Peanuts. Le speculazioni filosofiche di Linus, le paranoie di Lucy, l'ingenuità di Sally e le velleità artistiche di Schroeder, descrivono un po' anche tutti noi. ''Questi bambini ci toccano da vicino - dice il più illustre traduttore del fumetto, Umberto Eco - perché in un certo senso sono dei mostri: sono le mostruose riduzioni infantili di tutte le nevrosi di un moderno cittadino della civiltà industriale''.
L'interpretazione del semiologo però viene ribaltata dal professore di letteratura angloamericana dell'Università di Macerata, Valerio De Angelis. Secondo il quale ''i Peanuts stanno proprio a rappresentare l'infantilizzazione in cui la classe media è stata relegata da una sorta di 'pax consumista'''.
In qualsiasi modo la si voglia mettere però quello che è sicuro è che sia per il loro autore che per i lettori la fruizione quotidiana dei Peanuts ha avuto certamente una valenza terapeutica. I personaggi del fumetto, come spiega il saggista Luca Raffaelli, ''in fondo sono dentro di noi. Rappresentano i tanti bambini interiori che albergano nella nostra anima e che si moltiplicano con l'andare avanti dell'età''.
Schulz non ebbe eredi, come dettato dalle sue ultime volontà le avventure di Snoopy finirono con lui e Charlie Brown non riuscì mai a vincere una partita di baseball. Ma il testimone è stato repentinamente raccolto da tanti prodotti culturali, due dei quali spiccano per le tante somiglianze che ancora conservano con la poetica del loro padre ispiratore.
I primi, andando in ordine cronologico, sono sicuramente I Simpson: la serie creata dal fumettista americano Matt Groening, verso la fine degli anni 80. Periodo nel quale la popolarità dei Peanuts cominciava lentamente a scemare. Anche la famiglia più celebre del fumetto made in USA vive in una cittadina della provincia americana. La quale resta però di difficile individuazione, in quanto ogni stato degli Usa ha una Springfield. Come Charlie Brown e company anche I Simpson inoltre fanno parte della middle class statunitense, ma è nelle differenze tra i due prodotti che si riconoscono le principali somiglianze. Nella serie di Groening, al contrario del fumetto di Schulz, per esempio appaiono gli adulti. Questi ultimi però, e soprattutto il protagonista Homer, hanno chiare caratteristiche infantili. Le riflessioni di De Angelis qui divengono esplicite. I membri della classe media americana appaiono come dei grossi bambinoni conformisti, consumisti e, a causa delle loro spinte narcisistiche, incapaci di creare una comunità nel senso civile del termine.
Non ci sono dubbi invece riguardo la somiglianza che i Peanuts hanno con un altro popolarissimo gruppo di bimbi, quello di South Park: la serie televisiva statunitense creata da Matt Stone e Trey Parker.
Qui gli adulti, pur non avendo caratteristiche infantili, hanno un ruolo sicuramente secondario rispetto ai bambini.
South Park potrebbe quasi essere visto come l'esasperazione delle tematiche messe in atto da Schulz, che si incistiscono nel tessuto sociale degenerando in una violenza atroce e grottesca. La cosa sorprendente però è che lo scenario di provincia in cui si muovono Kenny e Cartman è praticamente identico a quello che faceva da sfondo alle avventure di Charlie Brown e Peperita Patty. South Park è nato nel 1997, a quasi mezzo secolo di distanza dalle prime vignette dei Peanuts, eppure la provincia americana continua a rimanere identica: staccionate bianche e campi da baseball inclusi.

Un ultimo tratto che accomuna i tre titoli sta sicuramente nella denuncia dell'ipocrisia insita nella borghesia americana. Ogni episodio delle serie in questione infatti può essere visto come il tentativo di squarciare il Velo di Maya del conformismo.
Quelle convenzioni sociali che nascondono i veri sentimenti della popolazione con una farsa buonista e puritana. Mentre nei Peanuts dietro i formalismi si cela un'America ripiegata su se stessa, composta da tante solitudini recluse dietro il televisore e oppresse da stereotipi troppo difficili da raggiungere, in South Park oltre la finzione troviamo invece qualcosa di molto simile all' ''Orrore'' enunciato da Kurz in Apocalypse now. I bambini si trovano ad essere talmente disorientati dalle contraddizioni valoriali del mondo degli adulti da rasentare la follia omicida. Più rassicuranti appaiono le dinamiche dei Simpson, che si muovono in una direzione completamente opposta.
All'inizio la comunità di Springfield viene criticata aspramente. Basti vedere la famiglia protagonista della serie, stretta tra le frustrazioni di Lisa e Marge, la stupida cialtronaggine di Homer e i problemi comportamentali del monello Bart. Alla fine però il nuovo continente appare più accogliente di quanto ci si aspettasse. Pur nei loro difetti la famiglia Simpson dimostra di saper essere calda e affettuosa, l'amore che i suoi componenti nutrono gli uni per gli altri supera ogni avversità. Gli States in conclusione, nonostante i tanti difetti, continuano a essere descritti come il posto migliore del mondo (centrale nucleare di Montgomeri Burns a parte).

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