martedì 20 agosto 2013

Dalla roccia alla carta, il karma dello scimmiotto consapevole del vuoto

''Un primate dotato di una forza straordinaria che a cavallo di una nuvola d'oro, e armato di un bastone che si allunga a comando, accompagna un monaco e un porcellino in un lungo viaggio pieno di pericoli''. Dite questa frase a un qualsiasi occidentale non troppo anziano e il vostro interlocutore non avrà dubbi ad attribuire la descrizione che gli avete fornito a Son Goku: il protagonista del manga, firmato da Akira Toriyama nel 1984, Dragon Ball. Non potrebbe essere altrimenti dopo le 152 milioni di copie vendute solo in Giappone e la capillare, nonché globale, diffusione che il fumetto ha avuto anche grazie a una serie animata, vari videogiochi e merchandising di ogni genere. Ai più appassionati però non saranno sfuggite anche le tante apparizioni che un simile scimmiotto fa in altri titoli nipponici. Basti pensare al protagonista di Goku no daboiken (Osamu Tezuka, 1967) o alla scimmia che si trasforma in un bastone allungabile, evocata da un personaggio di Naruto (Masashi Kishimoto, 1999). Allora, chi ha preso ispirazione da chi? Se il vostro interlocutore avrà invece gli occhi a mandorla e un passaporto asiatico, non esiterà a rispondere anche a quest'altro quesito. Dopotutto, che sia giapponese o cinese, la storia che ha dato il via a tutto probabilmente l'avrà studiata a scuola. Si tratta del romanzo Saiyuki (Viaggio in occidente). Una raccolta, pubblicata intorno al 1590, di una serie di leggende nate in Cina durante la dinastia Tang (618-907) e attribuita, più per tradizione che per attendibilità, a un funzionario di basso rango della corte dei Ming di nome Wu Cheng'en.
Generato dalle rocce di una montagna, lo scimmiotto appare all'inizio dell'opera con un carattere fanciullesco, sempre in bilico tra solidarietà e crimine. I suoi capricci lo porteranno ad abbandonare una vita semplice per divenire il re delle scimmie prima e lo sfidante del Cielo, nonché aspirante dio, poi. Pur avendo acquisito l'immortalità e poteri magici strabilianti da un saggio taoista (che gli darà il nome di ''Consapevole del vuoto'') però, dopo aver messo a ferro e fuoco il Cielo e la Terra, il primate verrà imprigionato nella Montagna dei cinque elementi da Buddha, accorso in fretta e furia dal cielo indiano per dar man forte alle divinità cinesi. Dopo 500 anni la bodhisattva Guanyin darà tuttavia all'animale l'occasione di riscattarsi. Dovrà accompagnare il monaco cinese Hsuan Tsang verso l'India, per recuperare i testi sacri buddhisti del Tripitaka e portarli nel celeste impero. Da quel momento ha inizio il viaggio dello scimmiotto verso l'occidente, che ancora continua attraverso le sue tante reincarnazioni. Grazie alle quali, dalle pergamene antiche è riuscito ad arrivare sulle tavole di molti mangaka e del nostro Milo Manara (Lo scimmiotto, Milo Manara, 1977). Il perché di un tale feeling con la nona arte lo si capisce dalle prime pagine del romanzo.
Soprattutto quando il protagonista, per uccidere un demone, si strappa un ciuffo di peli e soffiandoci sopra li trasforma in tante scimmiette che tramortiscono il mostro prima del colpo di grazia. Viene subito voglia di vederla almeno raffigurata quella scena, come tante altre che seguono. E mai tali combattimenti sono stati resi così bene come in Dragon Ball.
Ma, mentre nell'opera originale i personaggi cercano l'illuminazione e l'abolizione del desiderio (prima causa di sofferenza, secondo la dottrina buddhista), nel manga di Toriyama i compagni e i nemici di Goku non fanno altro che inseguire i loro desideri, che variano da ''trovare un fidanzato'' a ''conquistare il mondo''. Per far ciò cercano sette sfere, che una volta riunite permettono di esaudire qualsiasi richiesta. Il tutto si risolverà con un niente di fatto, ma i personaggi usciranno da quell'esperienza più maturi e felici, scoprendo che il viaggio valeva più della meta. Fin troppo positivo appare Goku, totalmente privo di bramosia e per nulla ambizioso. Cosa che ha fatto storcere il naso ai fan dello scimmiotto libertario e violento di Cheng'en. La carica distruttiva del primate è però tornata alla ribalta con un altro titolo più di nicchia, ma ugualmente destinato a divenire un importante tassello dell'interminabile saga. Sto parlando di Saiyukiden di Katsuya Terada (realizzato nel 1998, ma da poco pubblicato in Italia dalla J-Pop). In questa nuova reincarnazione cartacea Goku, dopo essere stato sconfitto in cielo, inizia il suo viaggio verso l'occidente per scovare e uccidere Buddha.
Scontrandosi contro i seguaci di Sakyamuni non fa altro che provare orrore per i tanti fedeli sottomessi all'Illuminato. Presto il pellegrinaggio appare però paradossale, in quanto ci si accorge che Buddha è in ogni cosa e soprattutto in ogni persona. Compare il più delle volte in forma fetale, quasi a rappresentare l'organo della buddità che dona a ognuno la capacità di raggiungere l'illuminazione. Anche uccidere il Buddha può essere visto però come un passo verso il nirvana, perché rappresenta la totale libertà da ogni maestro.
Meno fortuna ha avuto il monaco Hsuang Tsang, appena accennato o del tutto tralasciato nelle diverse serie in cui appare Goku. Anche se un religioso erudito di nome Xuanzang, che dalla Cina arrivò in India per studiare il Tripitaka, pare che sia realmente esistito. Ancora oggi ci si chiede come abbia fatto, nel 630, a evitare banditi e malviventi per tutto il percorso. Forse qualche angelo custode avrà vegliato su di lui.

2 commenti:

  1. ECCELLENTE primo articolo!

    PS leva i captcha!

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  2. Articolo interessantissimo! Il primo numero di Saiyukiden ce l'ho pure, ma non l'ho mai completato per mancanza di moneta sonante..

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